domenica 20 marzo 2011

Libia: siamo di nuovo in guerra



Alla fine l'attacco c'è stato. La chiamano operazione "Odissey Dawn", una missione umanitaria con tanto di sigillo Onu (la risoluzione 1973).
A me sembra l’ennesima guerra dopo Iraq e Afghanistan in cui ci siamo cacciati, con buona pace dell'articolo 11 della nostra Costituzione.

Vale la pena di fare alcune considerazioni.
La prima riguarda la politica estera del governo italiano affidata a un ex maestro di sci.
Una politica estera completamente deficitaria, senza alcuna strategia, che orienta le sue mosse in base alle contingenze.
Non fosse così non si spiegherebbe perché il dittatore sanguinario che oggi bombardiamo è lo stesso capo di Stato accolto con i massimi onori (e con quel suo circo patetico, con tanto di tende e di harem) a Roma non più tardi di nove mesi fa. Lo stesso Gheddafi a cui Berlusconi ha baciato la mano, elogiandolo come un grande amico dell’Italia.

Del resto non scopriamo ora chi è Gheddafi, visto che con il suo regime facciamo affari in nome della real politik e degli interessi nazionali (in particolare per l’approvvigionamento energetico) da oltre trent’anni.

Cosa è cambiato adesso? La risposta, anche di molti ex pacifisti e intellettuali di sinistra, è che ora c’è una questione umanitaria aperta.
E’ vero. Ma è bene riflettere sui tempi e sui modi di ciò che è accaduto in Libia dal momento in cui una parte della popolazione è insorta contro il Colonnello.
Cosa hanno fatto nelle ultime tre settimane le diplomazie occidentali? Nulla. Hanno atteso che la situazione degenerasse.
Era chiaro che Gheddafi non avrebbe ceduto il potere pacificamente e che avrebbe scatenato la repressione contro gli insorti.
Su L’Espresso della scorsa settimana lo scrittore russo, ed ex mercenario, Nicolai Linin ci informava che i figli del leader libico stanno assoldando cecchini in mezzo mondo, pagandoli 10mila euro a settimana, per fare piazza pulita dei rivoltosi.
Informazioni di questo tipo erano a conoscenza dell’intelligence dei Paesi europei. Il fatto che i governi occidentali non siano intervenuti presso il regime libico quando ancora c’erano i margini per evitare la repressione e tutelare la popolazione civile, fa nascere il legittimo sospetto che si sia voluta far degenerare la situazione per avere poi l’alibi perfetto per giustificare l’intervento militare.

Un’altra riflessione va fatta sui reali obiettivi dell’intervento militare e sulla loro efficacia.

Personalmente ritengo che il vero obiettivo non sia la tutela della popolazione, ma l’appropriazione indebita delle risorse energetiche (petrolifere e di gas) della Libia.
Rimuovere Gheddafi e mettere al suo posto un fantoccio al servizio dell’Occidente, in particolare di quei Paesi che si sono messi a capo della cosiddetta “coalizione dei volenterosi”: a partire dalla Francia che con Sarkozy ha impresso un’accelerata all’intervento militare, mettendo in secondo piano gli altri partner europei.
L’impressione è che sarà il suo Paese, in caso di vittoria, a godere degli immensi benefici che seguiranno la probabile caduta del regime. Vale a dire il business della ricostruzione e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Niente di nuovo sotto il cielo, è un vecchio film visto fin troppe volte.

Del resto, la contemporaneità dei tragici eventi in Giappone e il ripensamento di molti paesi sui costi e la sicurezza del nucleare fanno tornare in primo piano la questione energetica.
In attesa che la tecnologia per le rinnovabili venga messa a punto per un utilizzo su vasta scala, il petrolio e il gas rimangono le due fonti di energia per le quali si è aperta una feroce competizione tra i paesi industrializzati. Il primato economico passa attraverso l'energia a basso costo. Avere la possibilità di accaparrarsi i giacimenti libici è un'occasione unica, da non lasciarsi sfuggire.

Quanto poi all’efficacia dell’intervento militare per la salvaguardia della popolazione, anche lì i dubbi sono enormi. Anche perché, come la tragica esperienza in Iraq e Afghanistan ci ha insegnato, le bombe intelligenti non esistono e, assieme agli “obiettivi strategici”, fanno strage di civili inermi.

C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare, ossia la reazione del regime libico contro l’Italia, giudicato dal Colonnello un Paese traditore (vista la giravolta del nostro governo).
La pericolosità di Gheddafi e dei suoi sgherri è ampiamente documentata: dalle bombe su Lampedusa agli attacchi terroristici (la bomba sull’aereo a Lockerbie nel 1988) fino alla minaccia di non controllare più il flusso dei migranti che partono alla volta dell’Italia dalle coste libiche.

Che fare, dunque?
Mentre la situazione si ingarbuglia ogni ora di più, mi viene in mente un refrain che ho riletto questa mattina per l’ennesima volta: meglio la più scalcinata delle diplomazie, che la più intelligente delle bombe.

mercoledì 16 marzo 2011

DENIZ TEK Citadel Years




Chi non conosce, o conosce solo parzialmente, la traiettoria artistica di DENIZ TEK potrà recuperare a partire da questo weekend.

Esce venerdì 18 per CITADEL Records una doppia raccolta intitolata "Citadel Years" che racchiude la bellezza di 27 canzoni pubblicate dal chitarrista/compositore dei leggendari RADIO BIRDMAN a cavallo tra gli anni 90 e 2000.

Ovvero gli anni del suo ritorno alle scene dopo il lungo silenzio seguito allo scioglimento dei Birdman prima e dei Visitors successivamente.

Dopo molti anni di assenza, durante i quali si era dedicato esclusivamente alla professione di pilota medico dei marines, nel 1992 il chitarrista di Ann Arbour (ma australiano d'adozione) decise di ritornarne in azione.

Lo fece con l'album "Take It To The Vertical", seguito due anni dopo da "Outside", quest'ultimo firmato a nome Deniz Tek Group assieme a una sorta di nazionale dell'Aussie-rock che comprendeva anche Kent Steedman (Celibate Rifles), Jim Dickson (Barracudas/New Christs) e Nik Rieth (Tumbleweed).

Quei due dischi, non documentati in questa raccolta, gettarono le basi per un ritorno in grande stile di Deniz che, non pago delle attività con il Group, negli stessi anni riformò per una prima volta i Radio Birdman, pubblicò un album a nome Dodge Main con due leggende del rock del Michigan come Scott Morgan (Rationals, Sonic's Rendezvous Band) e Wayne Kramer (MC5), entrò a far parte di un gruppo statunitense - i Deep Reduction - prima di formare gli estemporanei Golden Breed con i gemelli (e campioni di skate) Art e Steve Godoy.

In quegli anni di iperattività e di gloria underground - che portarono il chitarrista e le sue diverse formazioni a suonare svariate volte in Italia - fu la Citadel del suo amico John Needham (a cui anni prima aveva dedicato la splendida "Brother John" dei Visitors) a pubblicare la maggior parte dei dischi di Tek.
Vale a dire, gli album "Le Bonne Route" (1996) ed "Equinox" (1998), l'ep "Bad Road" (1997), il live "Got Live" (reperibile all'epoca solo ai concerti o per mail order).

Adesso che quei dischi sono difficili da recuperare, la Citadel ha pensato bene di presentare una raccolta di brani che documentino quel periodo particolarmente creativo della carriera del guitar hero di Ann Arbour.

Per completezza sono stati aggiunti brani tratti dai due album dei Deep Reduction (l'omonimo del 2000 e "2" del 2003, entrambi marchiati Get Hip), ma anche dalla bella prova con i Dodge Main (l'omonimo "Dodge Main" pubblicato da Alive nel 1996) e da "Glass Eye World" dei Golden Breed (Career Records, 2003)

C'è anche una canzone inedita, tratto da un demo dei Radio Birdman del 2002 e intitolata "Photo Album".

Questa è la lista completa dei brani.

Disc 1:

1. Christmas Eve
2. Black Tulip
3. Last Cruise of the Owl
4. Tubular Dreams
5. Heavy Air
6. Workingman's Shoes
7. Big Accumulator
8. Steel Beach
9. Agua Caliente
10. Salted Leeches
11. Bad Road (acoustic)
12. Searching
13. Meantown Blues

Disc 2:

1. Always Out Of Reach
2. Billy Was A Cathar
3. Shellback
4. Dreaming Clifford Possum
5. Lunatics At The Edge Of The World
6. Novotel Blues
7. 100 Fools
8. Ships elanIn
9. What It's For
10. Photo Album
11. Flight 19
12. 2 Pam Chloride
13. Imaginary Man
14. Hand Of Law

Una lunga teoria di brani, alcuni dei quali di livello assolutamente stratosferico.
Se avete perso una parte importante della carriera di "The Iceman", ora potete recuperare con "Citadel Years"

Yeah Hup!

lunedì 14 marzo 2011

Le mafie ci uniscono




Fratelli d'Italia, sì, ma in nome delle mafie. Nell'anno del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia è assordante e insopportabile il silenzio delle celebrazioni su uno degli aspetti tanto oscuri quanto fondanti della nostra storia comune: le criminalità organizzate.
Dalle repressioni contro le lotte contadine alla strage di Portella della Ginestra, fino agli omicidi commissionati dalla politica di militanti, giornalisti, e servitori dello Stato, il nostro è un paese che si è consolidato anche tramite il sangue versato per mano delle mafie.

“Le mafie ci uniscono”
è una campagna dell’associazione antimafie daSud, nata perché non ci convince l’impostazione ingessata di un Paese che si guarda allo specchio e vede 150 anni di storia racchiusi nella teca di un museo polveroso. Consideriamo offensiva la retorica del tricolore fine a se stessa che caratterizza il dibattito politico di questo Paese. Lavoriamo alla costruzione di un Paese solidale, fondato sui diritti e le libertà. Un paese antimafie, senza mafie.

L’Italia nasce nel 1861 e con essa viene scoperta la mafia. Oggi, dopo 150 anni, le mafie sono presenti in tutte le regioni italiane, dai paesi sperduti del sud ai salotti delle grandi città del nord, e sono diventate soggetti glocali, capaci di unire il predominio territoriale e le strategie (e gli ambiti di azione, interessi e affari) a livello europeo e mondiale. Le mafie non sono più un’emergenza legata alla questione meridionale, quanto piuttosto un elemento strutturale, seppure patologico, della modernità, del sistema economico e di potere del ventunesimo secolo.
Le mafie riguardano tutti, concretamente.

Da qui vogliamo partire, per ragionare del nostro Paese, dell’esercizio del potere, del modello economico, delle mafie e dell’antimafia. La campagna “Le mafie ci uniscono” utilizza linguaggi, tempi e modalità diverse (le parole e i disegni, gli slogan e i documenti di analisi, i fumetti e i cartoni animati, la musica e le immagini video, le foto e le iniziative di partecipazione popolare, la radio e i giornali, il siti internet e i social network, i manifesti tradizionali e le cartoline). Che si mescolano, che lanciano un unico messaggio molto semplice e diretto, lanciato proprio in occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia: le mafie sono un elemento strutturale di questo Paese, da Nord a Sud. Nessuno può sentirsi escluso, nessuno può pensare di non avere responsabilità. Fingere che le mafie non ci siano, non è risolvere il problema. La creatività, la partecipazione, l’impegno, la discussione sono un inizio per cambiare.

La campagna “Le mafie ci uniscono” ha già colpito Roma con l'affissione di otto manifesti in posti nevralgici della capitale. Ma ci sono anche uno spot radiofonico (in onda da oggi su emittenti grandi e piccole), le cartoline da spedire, un videoclip e una canzone della Popucià Band che trovate qui sotto.





Per ulteriori informazioni: www.dasud.it

martedì 8 marzo 2011

Leadfinger



Stewart "Leadfinger" Cunningham è il talento più cristallino che l'Australia ci abbia regalato negli ultimi venti anni.

La sua traiettoria artistica ha incrociato i migliori esponenti dell'Aussie-rock dalla fine degli anni 80 ad oggi: i seminali Proton Energy Pills (il cui singolo d'esordio "Less Than I Spend" venne prodotto da J. Mascis dei Dinosaur Jr), Asteroid B-612, Brother Brick (la sua creatura), Yes-Men, Challenger 7.

Prima di intraprendere una brillante carriera da solista che lo ha portato a pubblicare lo splendido album elettroacustico "The Floating Life" nel 2007.
Subito dopo Leadfinger è diventato il nome del gruppo che ha accompagnato Stew dal vivo: il successivo album "Rich Kids" (Bang!, 2008) è da considerarsi infatti più come il prodotto di una band che un lavoro solista. Anche se il songwriting porta come sempre il copyright di mr. Cunningham.

Negli ultimi tre anni la band ha rodato il proprio sound dal vivo e adesso si appresta a pubblicare un nuovo album, "We Make The Music", che in Europa uscirà sempre per la spagnola Bang!

Nel frattempo Leadfinger ha pubblicato un singolo digitale con due brani favolosi: l'hi-energy rock'n'roll di "The Price You Pay" e la cover elettrica ed elettrizzante di "Can't Hardly Wait" dei Replacements.

Un succulento antipasto in attesa dell'uscita dell'album che potete ascoltare qui.