sabato 30 ottobre 2010

and now....THE ROLLING STONES!!!



Questo post nasce da una chiacchierata - ancora in itinere - sugli Stones con Ferruccio Quercetti dei Cut, anche lui come me fan sfegatato di Mick, Keith e compagni.

Prendendo spunto da Nick Hornby e da "Altà fedeltà", anche noi ci siamo messi a fare delle classifiche sulle Pietre Rotolanti. Abbiamo inziato con queste due.
Ecco le mie.


I DISCHI PIU' SOTTOVALUTATI


1. DIRTY WORK. Sarà che è il primo album degli Stones che ho comprato in tempo reale, ma continua a piacermi. La copertina è orrenda, la band sfilacciata, ma contiene una serie di canzoni che - nonostante la pessima produzione di Steve Lillywhite - graffiano: "One Hit", "Harlem Shuffle" (cover stupenda), "Too Rude" (Keith e il suo amore per la Giamaica e i ritmi in levare!), la title-track e la splendida ballata finale "Sleep Tonight". Ingiustamente dimenticato.



2. THEIR SATANIC MAJESTIC REQUEST: è un capolavoro. Come tutti i dischi degli Stones da qui fino al 1972. Canzoni stupende ammantate di psichedelia. Lo fecero, d'accordo, per moda, ma anche per sperimentare. E i risultati sono eccellenti. Non capisco perchè i fan più ottusi lo detestino e perchè la critica ufficiale lo snobbi. Per me è splendido.




3. BETWEEN THE BUTTONS: disco di trasizione per i più. Per me un grande disco in cui convivono le varie anime della band. C'è il più bel pezzo con Richards alla voce ("Connection") e una serie di altre canzoni formidabili. Bellissima anche la copertina di Gered Mankowitz con la band ritratta all'alba dopo una session notturna (notare Brian Jones...completamente sfatto).




I DISCHI PIU' BRUTTI:

1. UNDERCOVER: un disco piatto, per nulla ispirato con canzoni mai nella media degli Stones. Un album brutto e inutile, che avrebbero potuto tranquillamente risparmiarci.

2. BRIDGES TO BABYLON: altro disco che non aggiunge nulla, semmai toglie qualcosa, alla grandezza degli Stones. Produzione roboante, ma pochissimi brani degni di nota.

3. EMOTIONAL RESCUE: nonostante contenga uno dei più grandi, e sofferti, pezzi degli Stones ("Down In The Hole"), mostra un pericoloso scivolamento verso la moda del momento, ovvero la disco music. Banale.

4. GOATS HEAD SOUP: la ballata strappalacrime "Angie" (ascoltata fino alla noia...al punto da odiarla!) e qualche altra canzone (su tutte "Star Star") non bastano a risollevare le sorti di un album debole da tutti i punti di vista: del songwriting, del tiro sonoro, della grinta. Non sembra neanche un album degli Stones, eppure era passato solo un anno da "Exile".

5. STEEL WHEELS: faccio una premessa, sono legato "sentimentalmente" a questo disco, perchè è il secondo album degli Stones che ho acquistato in tempo reale e perchè è il disco che mi ha "accompagnato" al concerto del 26 luglio 1990 al Flaminio: il giorno più bello della mia vita!
Ad ascoltarlo oggi però mostra tutta la sua debolezza, soprattutto nella produzione e negli arrangiamenti. Contiene però alcune canzoni che mi piacciono molto (anche se andrebbero riarrangiate/suonate con un tiro più...Stones). Tra queste "Sad Sad Sad" e "Rock and A Hard Place", oltre a "Can't Be Seen" (adoro Keef che canta...sempre).

°°°
Prossimamente in arrivo le classifiche dei live e dei dischi più belli...so keep in touch!

mercoledì 27 ottobre 2010

HOODOO GURUS - Purity of Essence




C’era un tempo in cui il rock australiano era un vero culto dalle nostre parti. E gli Hoodoo Gurus tra i massimi sacerdoti dell’Aussie-rock.
Ogni loro disco era un piccolo evento atteso febbrilmente, così come ogni concerto che finiva per toccare gli italici lidi. Mentre in madre patria Dave Faulkner e soci continuano a essere una delle band più rispettate e venerate, in Italia i riflettori sulla scena australiana si sono spenti da tempo e questo black out ha coinvolto anche loro.

Ed è un vero peccato perché i Gurus sono più in forma che mai. Già il precedente “Mach Schau” del 2004 era un signor disco e adesso il quartetto riconferma il suo stato di grazia con “Purity Of Essence”. Un album di una band matura che possiede ancora molte frecce al proprio arco.
Una su tutte: lo straordinario songwriting. Così, ventisei anni dopo il folgorante debutto di “Stoneage Romeos”, i Gurus tirano fuori 16 tracce in cui si permettono il lusso di cambiare più volte registro sonoro senza intaccare il fil rouge che tiene assieme il canovaccio dell’album. Con risultati spesso esaltanti.

Come nell’iniziale “Crackin’ Up”, un brano destinato a diventare un classico per via dell’imbattibile tiro power-pop, chitarre sature e taglienti che sottolineano l’indiscutibile vena melodica. Stesso discorso per “What’s In It For Me?”, in assoluto uno dei brani più belli venuti fuori dal cilindro di Dave Faulkner e dalla sei corde di Brad Sheperd: un’esplosione di solarità ed energia. Ma, come dicevamo, in “Purity Of Essence” gli Hoodoo Gurus non devono sottostare ad alcun clichè e piazzano senza soluzione di continuità una ballata ipnotica e malinconia come “Are You Sleeping?” e un episodio quasi ska-core, con i fiati sparati a mille, come “Burnt Orange”. Oppure al rock’n’roll impreziosito dai cori femminili e virato verso il R&B di “I Hope You’re Happy” fanno seguire il robusto mid-tempo di “Ashamed Of Me”. E se “Over Nothing” è una canzone lenta e introspettiva, con una voce cavernosa, “Only In America” è uno straordinario pezzo funk che potrebbe sbancare le classifiche con quei cori in falsetto. In “Let Me In” Dave Faulkner, Brad Sheperd, Rick Grossman e Mark Kinsgsmill sembrano una versione hard dei Knack, mentre in “Evening Shade” firmano un episodio al contempo intimista e dinamico, prima di piazzare il colpo del definitivo KO con “1968”, altro potenziale hit, e concludere poi con l’ennesima ballata, “The Stars Look Down”. Per il sottoscritto, già da ora, disco dell’anno.

martedì 26 ottobre 2010

KILL CITY: ristampa dell'anno!



Ristampa dell’anno? Con ogni probabilità. Questa gemma di Iggy Pop e James Williamson torna a nuova vita, un po’ come successe nel 1997 con “Raw Power”, il terzo album degli Stooges, su cui mise le mani lo stesso Iggy per far dimenticare l’infame lavoro svolto nel ’73 da David Bowie. E così le chitarre tornarono a ruggire, il basso a pulsare, la voce dell’Iguana a graffiare.

Ci trovammo al cospetto di un disco nuovo di zecca. Cosa che accade adesso anche con “Kill City”, 33 anni dopo la sua uscita. Anche perché le ristampe di questo Lp finora immesse sul mercato sono state realizzate a partire dalla prima edizione in vinile verde, e non dai master originali, con una qualità audio ovviamente non eccelsa.
A questo giro, invece, la Bomp! ha deciso di fare le cose come si deve: ha rintracciato i nastri originali e li ha consegnati a James Williamson che ha remixato e rimasterizzato l’album. Ma è tutta la storia di questo disco, del resto, a essere peculiare. Registrato a Los Angeles nel 1975 nell’immediato post-Stooges, in uno dei momenti più bui della vita e della carriera dell’Iguana, “Kill City” rimase nei cassetti per due anni. Vide la luce per l’etichetta di Greg Shaw che sfruttò il momento propizio del ritorno in pista di Iggy con “Lust For Life” e “The Idiot”, pubblicati appunto nel 1977.

“Kill City” è un lavoro importante, oserei dire cruciale nella storia artistica e personale di Mr. Osterberg perchè fotografa il passaggio dagli Stooges alla nuova fase della sua carriera da solista.

Ci sono echi della sua vecchia formazione e infatti la scaletta prevede “I Got Nothin’” e “Johanna”, due episodi suonati live coi tardi Stooges. Ma si apre anche a soluzioni sonore e vocali totalmente nuove.

Se l’iniziale title-track ha chitarre killer e un tiro rollingstoniano, la successiva “Sell Your Love” è una splendida ballata notturna, con un sax che si staglia e i cori che danno un tocco di magia soul. Anche nel rock’n’roll in midtempo di “Beyond The Law” il sax gioca un ruolo fondamentale sottolineando l’impatto vocale e chitarristico del pezzo.

Ed è ancora grande rock’n’roll con l’abrasiva “I Got Nothin’” e poi nella disperata love-song “Johanna” dove la voce di Iggy si insinua alla perfezione tra gli inserti del piano, i riff chitarristici di Williamson e un sax sempre più prezioso e intrigante. Ma è con “Consolation Prizes” che i due ex-Stooges firmano il capolavoro dell’album: un episodio solare, dal tiro quasi power-pop, che non avresti mai creduto potesse essere firmato da un campione della paranoia e dell’autodistruzione come Iggy. E se in “No Sense Of Crime” spicca la voce di Mr. Osterberg, ora calda e avvolgente, in “Lucky Monkeys” aleggia ancora una volta lo spirito degli Stones più depravati. Mentre la conclusione è ancora una volta sorprendente, con le morbidezze (sin troppo accentuate) della strumentale “Master Change”.

lunedì 25 ottobre 2010

Il lupo perde il pelo...


“Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell’utile operativo di Fiat arriva dal nostro paese”. E ancora: “La Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia”.
A parlare è Sergio Marchionne, l’ad di Fiat, il manager che ha salvato le sorti della casa automobilistica torinese, con lo storico accordo Chrysler, e che in molti guardano come l’uomo del destino.

Ma, meriti industriali e maglioni girocollo a parte, cambia la forma, ma non la sostanza.
Marchionne è e resta un uomo del capitale. Far fare utili alla Fiat è la sua missione. Non importa che per ottenere i suoi obiettivi, calpesti i diritti dei lavoratori. Uomini e donne che tutti i giorni si alzano all’alba o fanno i turni di notte per uno stipendio che assai di rado supera i mille euro al mese.

Ora è chiaro che l’industria metalmeccanica del 2010 in un contesto globalizzato debba affrontare sfide che venti anni fa non erano neppure immaginabili.
Ed è anche vero che i rapporti sindacali vadano ridiscussi e aggiornati.
Ma il modo è importante quanto il merito.
E finora il metodo è stato quello del caterpillar. Dello schiacciasassi. O, detto più volgarmente, del ricattatore: prendere o lasciare.
Perché portare gli stabilimenti Fiat ai livelli di produttività delle altre fabbriche sparse in giro per il mondo si può e forse si deve fare. Ma non sulla pelle degli operai. Non senza il loro consenso.
Marchionne avrebbe potuto essere inclusivo, chiedere ai lavoratori una maggiore flessibilità oraria e una maggiore produttività. In cambio però di un coinvolgimento maggiore all’interno dell’azienda e anche alle sorti dell’azienda. Ad esempio con una compartecipazione agli utili, nel caso la Fiat li ottenga.

Ma il metodo scelto è stato esattamente l’opposto. E ieri l’amministratore delegato della Fiat si è spinto ancora oltre dicendo che, di fatto, gli stabilimenti italiani sono la palla al piedi del gruppo che dirige e che gli utili non provengono neppure in minima parte dalle fabbriche tricolori.

Nessuno però, neppure da sinistra, si è preso la briga di fare quattro calcoli e ricordargli che se la Fiat è ancora viva e vegeta lo deve agli enormi finanziamenti pubblici, diretti e indiretti, di cui ha beneficiato negli ultimi 50 anni. Stabilimenti costruiti con i soldi dei contribuenti, incentivi alla rottamazione pagati direttamente dalle casse dello Stato, cassa integrazione utilizzata a go-go e scaricata sul groppone della fiscalità generale.

Fosse stata nazionalizzata, così come chiedeva appena 15 anni fa Rifondazione Comunista, forse la Fiat non sarebbe sopravvissuta. Ma almeno gli italiani non avrebbero dovuto sopportare lo schiaffo di chi ha preso montagne di soldi pubblici e poi va in televisione a raccontare un’altra storia.

Il lupo perde il pelo…

mercoledì 20 ottobre 2010

One Dimensional Man: box set + tour


Ha deciso di prendersi una pausa dai tour e dal successo del Teatro degli Orrori, Pierpaolo Capovilla. E di tornare sul luogo del delitto: gli One Dimensional Man.

La band con la quale, a cavallo tra la fine degli anni Novanta e la prima metà del nuovo millennio, ha scosso le fondamenta dell’underground italiano. Con una miscela noise che ha lasciato tracce profonde in centinaia di date live e quattro album: “One Dimensional Man” (Wide, 1997), “1000 Doses of Love” (Wide, 2000), ma soprattutto nell’acclamato “You Kill Me” (Gamma Pop, 2001), probabilmente il punto più alto nella parabola del gruppo veneto assieme al successivo – e più meditato - “Take Me Away” (2004, Ghost/Midfinger).

La nuova line-up di One Dimensional Man vede, oltre a Pierpaolo Capovilla, basso e voce, e Giulio Favero (uscito all’indomani della pubblicazione di “You Kill Me”, ma rimasto sempre nel giro della band come produttore), il batterista Luca Bottigliero.

Per celebrare il ritorno in azione di una delle più importanti band partorite dalla nostra scena underground nell’ultimo decennio, l’etichetta La Tempesta International ha messo sul mercato un box set di 4 CD con l’intera discografia degli One Dimensional Man.

Mentre la band ha deciso di portare in tour il suo disco più amato, “You Kill Me”, per una serie di date che si annunciano infuocate.

Domani faranno tappa a Roma, al Circolo degli Artisti. Se siete in città, non mancate…

venerdì 15 ottobre 2010

Le MOTORAMA a Prodezze Fuori Area



Domenica 17 ottobre, alle ore 19, Prodezze Fuori Area presenta MOTORAMA:

- proiezione del rockumentary "That Psychotronic Beat", di Claudio Donatelli e Annalisa Nicastro (SOund36)

- live unplugged di Motorama / Plutonium Baby (surprise! surprise!)

- mostra di poster e memorabilia "motoramiche", a cura di Paulette Du


Domenica la giornata di campionato avrà come protagonista il “calcio femminile” grazie alle Prodezze Fuori Area delle MOTORAMA.

Nella sede di Sporco Impossibile/Prodezze Fuori Area (Via Fivizzano 27, Pigneto - Roma) verrà proiettato il documentario “That Psychotronic Beat! 2008 & other stories”, dedicato al seminale all female duo capitolino.
Inoltre le protagoniste del dvd interverranno con un fulmineo set in cui suoneranno alcuni brani delle Motorama e dei Plutonium Baby, il nuovo progetto o, per meglio dire, la nuova “mutazione motoramica” a cui hanno cominciato a dedicarsi recentemente.
Selezioni obbligatoriamente no fun a cura di Nerdancer, expo del fotografo Claudio Lodi e di memorabilia della band.

Se siete a Roma, non mancate. L'ingresso è libero...ma portate qualcosa da bere e/o da mangiare!

PS= interverrà il sottoscritto per presentare la serata, la band e il rockumentary...

AGGIORNAMENTO ore 23

Serata bellissima, piena di good vibes, bella gente e rock'n'roll "motoramico"/"plutonico"...

Alcuni poster di Paulette Du




I Plutonium Baby in azione...






Si cambia, arrivano le Motorama!



Special guest: Elena (first Motorama singer)



After the show...



giovedì 14 ottobre 2010

Ogni tanto....una buona notizia


Mi sono svegliato all'alba, sono andato a controllare subito la homepage di Repubblica.it.
Ho tirato un sospiro di sollievo. E ho provato una gioia profonda.

I 33 minatori cileni ce l'hanno fatta. Sono tutti fuori dopo una giornata intensa di lavoro, con la capsula che ha fatto su e giù tra la superficie e le viscere della terra per portarli in salvo dopo 70 giorni di incubo.

Finalmente una buona notizia. Ogni tanto ci vuole.

martedì 12 ottobre 2010

Italia - Serbia: stop al calcio moderno



Scrivo questo post di getto mentre guardo Italia - Serbia, sospesa dopo pochi minuti di gioco e un ritardo di oltre mezz'ora sul fischio di inizio per via delle intemperanze degli ultrà serbi.

Un'altra pagina amara del calcio moderno.
Qualche centinaio di delinquenti che tengono in ostaggio uno stadio e non consentono il regolare svolgimento di una partita. E tra gli ostaggi ci sono anche i loro connazionali, arrivati a "Marassi" solo per vedere l'incontro.

Già nel pomeriggio alcuni ultrà della ex Jugoslavia avevano fatto irruzione nel pullman della loro nazionale e minacciato i giocatori con il risultato che il portiere Stoikoivc, scosso da quanto accaduto, aveva poi deciso di non scendere in campo.
Dal suo punto di vista questa teppaglia fascista ha ottenuto ciò che voleva: massima visibilità in Eurovisione, intimidazione dei giocatori e una partita di qualificazione degli Europei sospesa.

E' incomprensibile come si sia concessa una possibilità di questo tipo a un manipolo di delinquenti travestiti da tifosi.
Nessun lavoro di intelligence preventivo, nessuna misura di interdizione alle frontiere, nessun tipo di controllo ai varchi.
I supporter serbi hanno introdotto allo stadio di Genova fumogeni e petardi, che poi hanno tirato in campo, e sono stati in grado di trovare armi improprie per provare a distruggere le barriere di protezione.

Ancora più incomprensibile il comportamento dei giocatori serbi che, sotto la guida dell'interista Stankovic, si sono recati sotto la curva e, invece di redarguire i propri supporter, cercando di portarli a più miti consigli, li hanno applauditi, rivolgendo loro segni nazionalistici.

La decisione di sospendere la partita da parte dell'arbitro e dell'Uefa, dopo vari tentennamenti, è giusta.
Ancor più giusto, dopo il sacrosanto 3-0 a tavolino per l'Italia, sarebbe che ai tifosi serbi venissero vietate tutte le trasferte in Europa e che le partite in casa della Serbia fossero fatte disputare a porte chiuse.

Misure drastiche, draconiane, per allontanare i delinquenti dagli stadi, soprattutto quelli imbevuti di odio ideologico e nazionalistico.
E poi, proprio per non penalizzare i tifosi serbi che nulla avevano a che fare con i delinquenti fascisti, sarebbe il caso che gli ultrà autori delle violenze venissero identificati e giudicati per direttissima.
Come accade in altri paesi, quali l'Inghilterra, che con misure di questo tipo sono riusciti a estirpare la peste della violenza hooligan.

Se vogliamo un calcio diverso, non è tempo di aspettare ancora.

lunedì 11 ottobre 2010

RADIO BIRDMAN Live in Texas


Uscirà venerdì 22 ottobre per Citadel Records "Live In Texas", l'atteso album dal vivo dei RADIO BIRDMAN, la più leggendaria rock'n'roll band australiana.

E' il secondo live ufficiale della formazione di Sydney, dopo "Ritualism" del 1996, al netto dei molti bootleg che hanno testimoniato sia le gesta della formazione originale (1974 - 1978), sia i concerti della reunion.

"Live In Texas" è un documento importante perchè celebra l'ultimo tour di Rob Younger, Deniz Tek e soci, quello del 2007, realizzato subito dopo l'uscita del terzo album della band, "Zeno Beach".

La scaletta, infatti, è perfettamente calibrata tra i brani nuovi, i classici della band (l'anthem-punk "What Gives?", la spettacolare "Smith & Wesson Blues", la ipercinetica "Anglo Girl Desire") e alcune cover di grande impatto ("Circles" degli Who, "'Til the End of the Day" dei Kinks, "Hot Rails To Hell" dei Blue Oyster Cult).

La formazione è quella vista in azione durante gli ultimi due tour europei, composta cioè dai tre membri originali Rob Younger (voce), Deniz Tek (chitarra) e Chris Masuak (chitarra), più l'ex Barracudas e New Christs (e amico di lunga data della band) Jim Dickson al basso e il batterista Russell "Rusty" Hopkinson, già in forza agli You Am I.

La storia di questo live, come racconta John Needham sul sito della Citadel, nasce da un'idea dello staff redazionale dell'emittente di Houston Radio KPFT 90.1 FM che ha chiesto di poter registare i due concerti tenuti dal quintetto in Texas, rispettivamente all'Emo's di Austin e al The Meridian di Houston, per poterli poi trasmettere.
Quelle registrazioni, mixate appositamente per la trasmissione radiofonica, hanno restituito un sound potente e pulitissimo, al punto che la Citadel ha poi deciso di farne un disco dal vivo.

Appunto questo "Live In Texas" che la storica etichetta di Sydney pubblicherà tra poco meno di due settimane con la seguente scaletta:

1. Murder City Nights
2. We've Come So Far...
3. You Just Make It Worse
4. Anglo Girl Desire
5. What Gives?
6. Circles (The Who)
7. Burned My Eye
8. Subterfuge
9. Die Like April
10. Smith and Wesson Blues
11. More Fun
12. Til The End Of The Day (The Kinks)
13. Hand Of Law
14. Locked Up
15. I-94
16. Hot Rails To Hell (Blue Oyster Cult)

sabato 9 ottobre 2010

Ritorna la Cantina del Rock




Dopo un periodo di stand-by ritorna in pista da oggi pomeriggio "La cantina del rock", la trasmissione radiofonica ideata e condotta da Wolfman Bob a.k.a. Bob Colella.
Una trasmissione nata durante gli anni universitari di Bob, negli studi della pionieristica "Facoltà di Frequenza", la prima radio universitaria italiana costituita all'interno dell'ateneo di Siena e poi chiusa dopo una strenua battaglia in sua difesa.

Finiti gli studi e trasferitosi a Roma, Bob Colella si è sempre distinto per il suo attivismo. "La cantina del rock" è divenuta prima una rubrica mensile sulla free-press "Post.it" e ora torna "on air" ogni sabato dalle 18,30 alle 19,30 dalle frequenze di Radio Popolare Roma.

Come sempre l'orecchio di Wolfman Bob è indirizzato al rock'n'roll più malsano, con una particolare attenzione a ciò che accade nei bassifondi dell'underground.
E quindi produzioni d-i-y e di etichette indipendenti, ma anche un tuffo avanti e indietro nella musica più vibrante che ci sia, dal blues di Chicago anni ’50 al garage texano dei Sixties, dal punk 1977 all'energia selvaggia del sound australiano.

Interviste, focus, speciali e come sempre grande muscica.

"La cantina del rock" si potrà ascoltare da oggi pomeriggio e tutti i sabati alle 18,30 sui 103.3 mhz a Roma e dintorni oppure in streaming direttamente dal sito di Radio Popolare Roma
Tutte le puntate del programma saranno poi scaricabili in podcast, assieme a tutto il materiale trasmesso fino a oggi, sul sito web de "La cantina del Rock".

Un grande abbraccio e un altrettanto grande in bocca al lupo a Bob e alla sua cantina.
Stay tuned!!!

venerdì 8 ottobre 2010

FORTUNATE SONS: Intervista esclusiva a ROBIN WILLS





FORTUNATE SONS
Un'intervista esclusiva a ROBIN WILLS



Se c’è una band grande e misconosciuta, essa certamente risponde al nome di Fortunate Sons.
Un terzetto formato a Londra a principio del 1985 dal chitarrista Robin Wills, fresco dello scioglimento dei suoi favolosi Barracudas, la cult-band che con tre soli album (gli stupendi “Drop Out With…” e “Mean Time”, più il successivo “Endevour To Persevere”) e una manciata di singoli era entrata nel cuore di tutti coloro che amavano il power-pop/garage arricchito da venature folkedeliche.

Nella nuova formazione, accanto a Robin Wills troviamo invece il batterista Lee Robinson, che qualche anno dopo diverrà il cantante degli A-10 - uno dei gruppi punk più devastanti nati a cavallo tra gli 80 e i 90 - e il bassista Steve Robinson (nessun legame di parentela tra i due, nonostante il cognome).

Con questa line-up i Fortunate Sons pubblicano “Rising”, un disco stupendo perennemente in bilico tra l’anima melodica e quella più marcatamente grintosa e dinamica del terzetto.
Per l’album successivo, “Karezza”, si unisce alla band Chris Wilson, ex Flamin’ Groovies e già membro dell’ultima line-up dei Barracudas. Ma la magia dei Fortunate Sons non dura a lungo e il gruppo si scioglie prematuramente, dopo un fallimentare tour italiano.

In attesa che qualche lungimirante etichetta si decida finalmente a ristampare i due album dei Fortunate Sons, da anni fuori catalogo, ho rintracciato a Londra Robin Wills per una chiacchierata sulla sua formazione meno conosciuta, ma non per questo meno intrigante.



Per quale motivo i Barracudas si sciolsero e come nacquero i Fortunate Sons?
I Barracudas erano già arrivati alla fine o era quello che noi pensavamo all’epoca. Jeremy (Gluck, NdA) stava diventando impaziente e desiderava muoversi verso una direzione musicale più dura (hardcore, cose alla Husker Dü…), ma io volevo ancora esplorare il versante jingle jangle/pop con un tiro più nervoso. Così nel gennaio del 1985 ci incontrammo e prendemmo la decisione di scioglierci. Allora Chris decise di andare a vivere in Svezia e io misi in piedi i Fortunate Sons.

Come hai conosciuto Lee e Steve Robinson?

Steve era il road manager dei Barracudas e sporadicamente suonava le tastiere con noi dal vivo. Nel 1984 Jim Dickson era in procinto di tornarsene in Australia e Steve era pronto per sostituirlo al basso, ma poi Jim rimase e non se ne fece nulla. Uscivo spesso con Steve, per cui – una volta sciolti i Barracudas - la decisione più ovvia fu quella di metter su una band insieme. Incontrammo Lee a Dingwalls (uno dei più celebri club di Londra, ubicato nel quartiere di Camden) e ci disse che suonava la batteria, così facemmo un paio di prove e la band era nata. Personalmente volevo un quarto membro, ma Chris Wilson era via, così assoldammo John Plain dei Boys per un tour in Francia e poi Marcus Holler, alla seconda chitarra, per un po’, prima che Chris ritornasse in Inghilterra e si decidesse a suonare con noi.
Lee era ossessivo, lunatico ma molto amichevole, Steve aveva i piedi per terra ed era affidabile, così eravamo davvero un giusto mix di personalità…

Il nome della band era un tributo al pezzo dei Creedence Clearwater Revival?

Oh, sì. Suonavamo “Fortunate Sons” dal vivo con i Barracudas, per cui la scelta del nome fu semplice…

Rispetto ai Barracudas, quali erano gli obiettivi artistici dei Fortunate Sons?

Continuare con uno stile più melodico, un folk rock venato di chitarre dodici corde, assieme a un più corposo sound rock alla Flamin’ Groovies.

Il vostro primo album “Rising” del 1986 è un disco straordinario che racchiude diverse fonti ispirative: folk rock alla Byrds, power-pop, ballate melodiche…

“Rising” fu registrato per un’etichetta tedesca che aveva il proprio studio di registrazione, ma per me suona più come un demo che come un album vero e proprio. Ci mancava decisamente un buon cantante! Scrissi quasi tutte le canzoni, alla stessa maniera in cui lo facevo per i Barracudas: infatti 5-6 canzoni le avevo già composte per quello che sarebbe dovuto essere il nuovo album dei Barracudas. Si trattava di canzoni personali, scritte come ho sempre fatto…

Quali sono i tuoi brani preferiti di “Rising”?

Penso “Burning”, che era la canzone più nuova del LP, cantata molto bene da Lee. Un’altra delle mie preferite è “Sometimes You Win”, ancora una volta scritta dal profondo del cuore sull’amore della mia vita a quei tempi. Ma anche “Just Another Day” che parla dell’ambiente della droga e del caos personale in cui ero immerso in quel periodo…

Quale fu la reazione del pubblico all’uscita dell’album?

Fu sottovalutato. Il disco uscì in tre diversi paesi e deve aver venduto intorno alle 10.000 copie. Credo che molti lo videro come un primo passo, dal momento che non suona come un album finito.




Per la vostra seconda uscita discografica, “Karezza”, si unì a voi l’ex Flamin’ Groovies e Barracudas, Chris Wilson…

Ho sempre desiderato che Chris suonasse di nuovo con me, così non appena rientrò dalla Svezia, si aggregò al gruppo…

“Karezza” aveva un suono abbastanza diverso rispetto al primo album, con un feeling più americano: c’erano più ballate, un suono più tranquillo e dalle influenze più marcatamente folk-rock nella vena degli ultimi Flamin' Groovies. Credi che questo abbia qualcosa a che fare con la presenza di Chris Wilson nella band?

Non mi piace il suono di quel disco. Avere ancora una volta Chris in una band era fantastico, ma si era calato un po’ troppo in uno stile alla Paul Rodgers dei Free. Inoltre non amavo lo studio dove lo registrammo, ma alcune canzoni sono grandiose. “Dawning”, ad esempio, è magica: scritta in cinque minuti in studio. “He Who Waits” era un classico di Chris e “Deep Red” invece era stata scritta per Dario Argento. All’epoca avevo incontrato Dario un paio di volte e avevamo parlato dell’idea di inserire in qualche modo la mia musica in uno dei suoi film, ma era ancora troppo affascinato da quella dei Goblin!

Perchè, dopo l’uscita di “Karezza”, i Fortunate Sons si sciolsero?

Perchè venimmo a suonare in Italia! Lee aveva lasciato la band allora (per formare gli A-10, NdA) e chiamammo un amico di Chris alla batteria. Il tour italiano fu un casino: non ci pagavano quello che era stato pattuito e così Chris e John, il nuovo batterista, decisero di tornarsene in Inghilterra. Fu la fine della band.

* * *

Per chi non possiede i dischi e visto che sono introvabili...

RISING:
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KAREZZA:
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mercoledì 6 ottobre 2010

Jimi Hendrix at Mason's Yard: Gered Mankowitz photos



Per chi è a Londra, fino al 6 novembre, c'è un appuntamento immancabile alla Snap Galleries (8 Piccadilly Arcade, SW1Y 6NH), a due passi da Piccadilly Circus: "The Experience: Jimi Hendrix at Mason's Yard".



Una favolosa mostra fotografica dedicata a Jimi Hendrix con scatti editi ed inediti del grande fotografo rock Gered Mankowitz.

Si tratta di due session fotografiche realizzate da Mankowitz nel 1967 nel suo studio londinese di Mason's Yard: la prima con la Jimi Hendrix Experience al gran completo, la seconda con il solo Jimi.

Foto di grandi e piccole dimensioni, in bianco e nero (quelle originali), ma anche a colori in una serie di rivisitazioni con tecniche digitali.




Una mostra bellissima, in uno spazio piccolo e accogliente.
Un'icona del rock'n'roll vista attraverso l'obiettivo di uno dei fotografi che hanno vissuto in prima persona l'epopea del grande rock degli anni Sessanta.

Don't miss it!

venerdì 1 ottobre 2010

London is not Swinging anymore...



Tornare a Londra fa sempre effetto. Nel bene o nel male.
Ho vissuto in questa città uno dei periodi più straordinari e indimenticabili della mia vita e dopo ci sono ritornato tantissime altre volte. Per cui quando mi capita di metterci nuovamente piede è un po' come tornare a casa.

Ma la Londra del 2010 è diversa.
Rispetto agli standard italiani, al nostro proverbiale immobilismo, questa metropoli appare sempre dinamica e vitale. Con un altro passo, un'altra velocità.
Ma chi ne conosce a fondo lo spirito, e ne sa cogliere gli umori, si accorge che qualcosa è cambiato.

Scendo con la metro a Tottenham Court Road e il primo impatto è scioccante.
Dove c'era lo storico London Astoria, uno dei rock club più importanti d'Europa, non c'è più nulla.
O meglio c' è un cantiere. L'intero isolato è stato raso al suolo e adesso si lavora per ampliare la fermata della tube e per costruire il Crossrail, la nuova linea della ferrovia che passerà per il centro.



Lo sapevo - al London Astoria avevo anche dedicato un post su questo blog - ma vedere con i propri occhi cosa ne rimane è tutta un'altra cosa. E' comunque il segno del dinamismo di una città che si trasforma a una velocità sorprendente, mi dico.

Ma basta voltare l'angolo su Oxford Street per accorgersi del cambiamento, radicale.
La strada è transennata per lavori, cerco il Virgin Megastore e mi accorgo che ha chiuso. Al suo posto non ha aperto nessuno. Continuo a camminare e vedo altri negozi chiusi.
La strada è sempre affollata, ma non ci si imbatte più in quel via vai caotico che la rendeva eccitante e, talvolta, insopportabile.
I ragazzi (prevalentemente italiani) con i cartelli e i flyer in mano, che ti fermavano per invitarti a provare una lezione d'inglese in una delle tante scuole disseminate lungo la via, sono spariti. Segno che anche le scuole sono sparite.
Dai negozi d'abbigliamento giovanile non esce più musica house a tutto volume, nè c'è quella confusione e quell'effervescenza che caratterizzava queste meravigliose trappole per turisti.



Lo storico 100 Club resiste, ma non si sa ancora per quanto.
Rischia di chiudere se il contratto d'affitto, come annunciato, subirà un'impennata di oltre il 40%.

Più avanti spero di trovare HMV. Per fortuna c'e' ancora: dentro si trovano tanti Cd, Dvd e libri, con un'ampia selezione di offerte. Anche se è sempre più grande lo spazio destinato all'abbigliamento e ai gadget.

Attraverso la strada, oltrepasso la celebre Wardour Street dei Jam e mi dirigo verso la Berwick Street degli Oasis (ricordate la copertina di “(What's The Story) Morning Glory”?) e dei negozi di dischi.



Sister Ray, che già da qualche anno ha preso il posto di Selectadisc, per fortuna è ancora lì con la sua bellissima selezione di dischi e Cd e t-shirt e libri di ogni genere. I prezzi, come al solito, sono mediamente buoni.

Ma pochi metri più in là, dall'altro lato del marciapiede, noto con sommo dispiacere che non esiste più Mister Cd, il negozio più economico di Londra, dove c'era sempre il “rischio” di portarsi a casa un Cd per poche sterline.
Qualche anno fa avevano già chiuso il “bargain basement” che negli anni 90, nel periodo di massimo fulgore, conteneva decine di migliaia di Cd a 1 pound o poco più.
Adesso è proprio il negozio che è sparito. Chiuso.
Senza che al suo posto abbia riaperto nessuno.

Non è l'unico locale sbarrato su Berwick Street. Anche dove c'erano caffè, sandwich bar e altri negozi ora non c'è nulla. Solo i locali desolatamente vuoti.
La crisi a Londra ha colpito pesantemente. Ed è visibile, tangibile.



Me lo conferma anche Daren, il simpatico proprietario di “Sherry's”, l'ultimo negozio – assieme allo storico “The Face” - di abbigliamento mod rimasto a Carnaby Street: “La Cool Britannia degli anni 90 è solo un ricordo, non c'è più nulla di quell'atmosfera effervescente e vitale. Siamo nel bel mezzo della crisi, non è affatto alle spalle come dicono: in molti perderanno il posto da qui al prossimo anno. La maggior parte dei negozi indipendenti ha chiuso, resistono solo i grandi marchi, il grande business”.

Basta dare un'occhiata a Carnaby Street per rendersene conto: troviamo tutti i grandi brand dell'abbigliamento, negozi trendy e à la page (Tommy Hilfinger, Pepe Jeans, Levi's, The North Face, ma anche i classici dello stile mod, Lambretta e Ben Sherman, ormai trasformatisi anche loro in marchi di successo). Hanno preso il posto dei coloratissimi negozietti underground che vendevano ogni sorta di abbigliamento punk/dark, o hippy-psychedelico con annessa chincaglieria indiana. Niente più chiodi, jeans attillati, t-shirt, stivali di ogni sorta e foggia.
Solo capi di abbigliamento trendy e all'ultima moda. Per tutta la strada.
Ma che non fanno grandi affari...

E anche se le insegne scintillanti resistono, Londra e tutto il Regno Unito si trovano a dover fronteggiare la peggiore crisi economica dagli anni Settanta, dai tempi bui della Thatcher.

Forse è per questo che Ed Miliband, il nuovo leader del Labour, appena eletto alla guida del partito, ha affermato che l'Inghilterra adesso ha bisogno di una buona dose di ottimismo e di speranza per ripartire.
London is London...but is not Swingin' anymore.